I requisiti che si possono porre a priori per un ideale rivelatore di raggi X per l'uso astronomico sono in parte diversi da quelli per l'uso in altre condizioni sperimentali e di misura. Le sorgenti celesti forniscono flussi relativamente deboli, sovrapposti ad una radiazione di fondo ambientale che ne perturba e rende più difficoltosa la misura. L'emissione dalle sorgenti celesti deve poter essere misurata sia spettroscopicamente che fotometricamente.
Ad esempio deve essere possibile misurare righe spettrali con
moderato () od alto (
) potere risolutivo. Qui con E si indica l'energia della riga
misurata e con
si indica l'allargamento (normalmente una curva
a campana) generato intrinsecamente dall'apparato di rivelazione. Si
tratterà diffusamente del potere risolutivo nel proseguimento del corso.
Ad esempio deve essere possibile misurare il flusso integrato nella
banda energetica (come tasso di conteggio) in cui opera il rivelatore su
tempi scala relativamente brevi, anche minori di 1 millisecondo,
senza soluzione di continuità. In tal modo otterremo una serie
temporale che successivamente sará possibile analizzare con le tecniche
dell'analisi temporale.
I telescopi ad incidenza radente o a maschere
codificate, che possono produrre immagini del cielo in raggi X,
richiedono rivelatori che consentano di individuare con la massima
precisione possibile la posizione dove il fotone é stato assorbito.
Questo requisito di posizionamento nel piano di rivelazione del punto di
interazione si aggiunge alle capacità spettroscopiche e fotometriche
prima accennate.