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La pretesa estensione alla telematica del regime della stampadi Vincenzo Zeno-Zencovich (*)SOMMARIO
Da qualche tempo si dibatte la questione se alla
diffusione di notizie e informazioni attraverso
sistemi telematici possano applicarsi le
disposizioni civili, penali e amministrative
previste per la stampa.
1. PremessaAncorché siano molti ad essere convinti che non possa muoversi foglia senza che il legislatore o l'amministrazione non voglia, l'ordinamento giuridico non è improntato a tale concezione: per un verso la limitazione della libertà dell'individuo deve trovare ostacolo o in un divieto ovvero in un correlativo diritto altrui, per altro verso l'intervento dei pubblici poteri deve conformarsi ad un principio di legalità (in senso lato) e dunque è legittimo solo se vi sono disposizioni, di rango normativo adeguato, che autorizzino siffatto intervento. Se dunque appare nel mondo del reale qualche nuova entità o si realizza qualche nuova attività, non si potrà seguire il riflesso condizionato di ritenerla ipso facto soggetta al controllo, all'autorizzazione, a limiti, seguendo il principio secondo cui è vietato tutto quello che non è permesso. Al contrario occorrerà indagare attentamente per verificare se e in che misura le regole esistenti possano estendersi alla nuova entità o attività.Tale impostazione generale appare tanto più appropriata in subiecta materia quanto essa non riguarda una attività qualsiasi bensì tocca direttamente diritti e libertà di rango costituzionale primario, quali la libertà di comunicazione e di manifestazione del pensiero che trovano garanzia e tutela negli artt. 15 e 21 della Costituzione.' La presunzione di libertà deve pertanto essere ancor più forte, mentre più pesante è l'onere che incombe su chi voglia sostenere tesi restrittive di tale libertà. 2. La telematica non è «stampa»L'assunto in sé ovvio, richiede tuttavia che si precisino i postulati definitori sui quali poggia. Se per «telematica» intendiamo la trasmissione/ricezione di messaggi in forma elettronica da un soggetto ad un altro seggetto o ad altri soggetti determinati o indeterminati attraverso una rete di telecomunicazioni constatiamo che essa è assolutamente diversa da quella riportata dall'art. 1 della legge sulla stampa (L. 8 febbraio 1948, n. 47) che reca la significativa rubrica «Definizioni di stampa o stampato»: «Sono considerate stampe o stampati, ai fini di questa legge, tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici, in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione».Ora è evidente che nella telematica non vi è una riproduzione tipografica o ottenuta con mezzi meccanici o fisico-chimici. I termini utilizzati sono tecnici e dunque precisi, e non possono estendersi a mezzi che si basano su tecniche profondamente diverse e non costituiscono nemmeno una evoluzione di quelle della stampa. Né può servire ad allargare la categoria la dizione conclusiva dell'articolo («in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione») perché essa ha come soggetto indefettibile una riproduzione tipografica. La previsione dei due requisiti nell'art. 1 L. 47/1948 implica ovviamente che cadano fuori dal suo ambito sia le riproduzioni tipografiche non destinate alla pubblicazione (ad es. i biglietti da visita) sia le pubblicazioni non tipografiche (ad es. un manifesto scritto a mano). Si rilevi peraltro su un piano meramente sintattico che il requisito della «pubblicazione» è predicativo delle riproduzioni tipografiche giacché queste devono esservi «destinate». Dunque prima viene l'accertamento della tecnica tipografica e poi la verifica della sua destinazione. Infine non si può non evidenziare come la nozione di pubblicazione, intesa comunemente come diffusione al pubblico ovvero ad una cerchia indeterminata di soggetti esclude che possa utilizzarsi il termine quando il messaggio sia destinato ad uno o più soggetti determinati. Beninteso della nozione di «stampa» possono darsi più e diverse definizioni e tuttavia quella contenuta nell'art. 1 della L. 47/1948 non solo è l'unica di fonte primaria ma è anche quella che governa il maggior numero di disposizioni che qui interessano e si riflette anche al di là della legge sulla stampa. 3. La storicamente restrittiva interpretazione della nozione di «stampa»Chi pretende di estendere alla «pubblicazione» telematica il regime della stampa dovrebbe peraltro preliminarmente operare una ricognizione degli svariati mezzi di diffusione esistenti in passato o affermatisi successivamente ed esaminare se ad essi sia mai stato applicato il regime della stampa: si pensi alla diffusione vocale, dallo strillone all'oratore da comizio; alla cinematografia e al teatro; alla radio e alla televisione. In tutti questi casi vi è una attività di diffusione destinata ad un numero indeterminato di soggetti e spesso tale diffusione perviene a un numero assai maggiore di persone di quelle raggiungibili da un comune stampato. Eppure non si dubita che ad essi non si applichi la legge sulla stampa o che per fare cio è necessaria una precisa disposizione della legge come fa, con riguardo a «telegiornali» e «giornali radio», l'art. 10, I comma, della L. 6 agosto 1990, n. 223.Né valga il rilievo che i casi sopra elencati riguarderebbero mezzi dal contenuto diverso da quello comune agli stampati, giacché l'obiezione è priva d'ogni conforto della realtà in quanto la legge sulla stampa si applica a qualsiasi stampato indipendentemente dal suo contenuto, dal romanzo di fantascienza al quotidiano, dal libro di fiabe al mensile di critica letteraria, dai fumetti al dépliant pubblicitario. Analogie funzionali e approcci teleologici non hanno portato ad estendere l'ambito di applicazione dell'art. 1 e dunque non si vede per quale motivo essi dovrebbero sortire effetto nei confronti della telematica. Argomenti favorevoli non si possono trarre nemmeno dall'approfondita riflessione sul secondo comma dell'art. 21 Cost. per il quale «la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure». Da più parti si è sollecitata una lettura espansiva della norma, estendendo la sua portata a mezzi diversi della stampa in senso stretto. È tuttavia chiara la differenza fra le due operazioni ermeneutiche: qui si esalta il principio di libertà e si vogliono eliminare restrizioni all'esercizio di diritti fondamentali; lì si vuole compiere l'operazione inversa per comprimere, in malam partem, l'ambito di libertà. E dunque quand'anche si estendessero a mezzi diversi dalla stampa guarentigie proprie di quest'ultima, ciò non varrebbe a sostenere il loro assoggettamento a vincoli previsti solo per la stampa. 4. La «stampa» di comunicazioni telematicheAl discorso fin qui svolto potrebbe muoversi una obiezione: la nozione di comunicazioni telematiche include anche una attività di stampa, in quanto abitualmente i terminali sui quali compaiono, in video, in messaggi ricevuti (o dai quali si inviano quelli in partenza) sono collegati ad apparecchiature non a caso chiamate «stampanti» che riproducono attraverso mezzi fisico-chimici (punti, getto d'inchiostro, laser) quanto appare sul monitor.L'osservazione rispecchia tuttavia, solo una frazione della realtà. In primo luogo la stampante può non esserci (si pensi ai tanti terminali collocati in luoghi pubblici con informazioni di viaggio, turistiche, o di altro genere). In secondo luogo l'uso della stampante è solo facoltativo in un duplice senso: il soggetto può decidere se stampare, e può decidere cosa stampare riproducendo l'intero documento o estrapolandone solo una parte. In terzo luogo vi è una vasta qualità di comunicazioni telematiche insuscettibili di per sé di essere «stampate», come nel caso di messaggi audio e video. Ma al di là di queste considerazioni fattuali ve ne sono altre più propriamente giuridiche che escludono che dalla possibilità di stampare i messaggi telematici discenda l'equiparazione di questi ultimi alla stampa. L'art. 1 L. 47/1948 individua come oggetto del suo imperio le «riproduzioni tipografiche ... in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione». Ora le comunicazioni telematiche non costituiscono «riproduzioni» tipografiche o similari bensì, come s'è detto, utilizzano tecniche completamente diverse. La fase della riproduzione (peraltro solo eventuale) non si colloca all'inizio del procedimento, bensì alla sua fine; ed essa avviene non per volontà di chi predispone il messaggio, bensì di chi lo riceve. Costui peraltro utilizza lo stampato per uso proprio e quindi difetta il requisito della «pubblicazione». Solo se egli decidesse di duplicare il proprio stampato e di diffonderlo verso una generalità di soggetti (come nel caso di un giornale che trae una informazione da una banca-dati telematica e la riproduce) ci troveremo di fronte ad uno stampato ai sensi di legge. Ma è evidente che le sue disposizioni, in questo caso, si rivolgono a chi ha dato vita alla seconda fase, e non a chi ha diffuso il messaggio per via telematica. Tale messaggio infatti è sì «riprodotto», ma non con mezzi tipografici, e similari. E quando si materializza attraverso tali mezzi non vi è più una «pubblicazione» ma un uso privato. In realtà la forma normale di riproduzione delle comunicazioni telematiche è la loro memorizzazione su supporti informatici (fissi o mobili), secondo tecniche che nulla hanno a che vedere con la tipografia et similia. 5. La rilevanza della disciplina amministrativa della stampaDa quanto si è detto risulta evidente che alle comunicazioni telematiche non può applicarsi - in linea generale - il regime amministrativo della stampa. E dunque non sussiste alcun obbligo di registrazione presso la cancelleria del Tribunale ex art. 5 L. 47/1948, ovvero (sussistendone i presupposti contenutistici) presso il Registro nazionale della stampa ex art. 11 L. 5 agosto 1981, n. 416. Nessun elemento contrario può essere desunto dal D.M. 27 gennaio 1986 (Introduzione in via permanente del servizio pubblico Videotel) il quale all'art. 12, II comma del Regolamento ad esso allegato, prevedeva che «il fornitore di informazioni che realizza e/o distribuisce servizi informativi a carattere giornaliero è obbligato a rispettare specificatamente le norme della legge sulla stampa e quella sull'editoria in quanto applicabili».E ciò sia perché v'è motivo di ritenere che la norma sia stata caducata - ancorché non espressamente - dal D.M. 13.7.1995, n. 385 (Regolamento per i servizi audiotex e videotex), ma soprattutto perché è impensabile che un provvedimento di rango amministrativo possa estendere la portata di una legge. Peraltro la norma in esame, nella sua sciatteria, richiama la «legge sulla stampa e quella sull'editoria» (sic!) come se questo fosse il modo di individuare una norma giuridica aggiungendo «in quanto applicabili». Ora, poiché si e a iosa illustrato come tali leggi non siano applicabili per carenza dei presupposti oggettivi, l'espressione contenuta nel Decreto ministeriale era e resta solo una tra le tante sciocchezze che si scrivono nella frenesia pan-regolamentare al fine di riempire le colonne della Gazzetta Ufficiale. A sostegno dell'obbligo di registrazione si è invocata in un decreto del Tribunale di Roma, inter alia, l'autorità del Ministero di Grazia e Giustizia la quale l'avrebbe sancita in una propria nota. Il richiamo tuttavia è scorretto - per non dire capzioso - e comunque non è di alcun giovamento alla tesi dell'obbligo di registrazione. Vediamo di riepilogare la vicenda. Il Tribunale di Roma in un decreto del 6 novembre 1997 nelle sue premesse afferma testualmente: «Vista la nota del Ministero di Grazia e Giustizia - Direzione Generale degli Affari Civili e delle Libere Professioni - Ufficio VII - Prot. n. 7/38002/8094 del 26 ottobre 1995, da cui si evince che i cosiddetti "giornali telematici" (videotel, televideo, audiotel, ecc.) non rientrano nella previsione di cui all'art. 28 della Legge n. 69 del 3 febbraio 1963 (che consente a coloro che non esercitano la professione di giornalista di essere iscritti nell'elenco speciale quali direttori responsabili di periodici a carattere tecnico, professionale o scientifico) e, pertanto, oltre ad essere sottoposti all'obbligo della registrazione di cui alI'art. 5 della Legge 8 febbraio 1948, n. 47, devono essere diretti esclusivamente da un giornalista iscritto all'Albo (professionista o pubblicista)». Varrà la pena, in primis, di rilevare che la citata «nota» del Ministero di Grazia e Giustizia nasce da un quesito specifico relativo all'applicabilità dell'art. 28 L. 3 febbraio 19G3 n. G9 ai c.d. «giornali telematici». Secondo tale disposizione per i periodici «di carattere tecnico, professionale o scientifico» il direttore responsabile può non essere un giornalista iscritto all'albo, bensì un non giornalista che a tal fine viene inserito in un «elenco speciale». Il Ministero aveva già espresso un proprio parere su richiesta di un Ordine regionale dei giornalisti (del Lazio e del Molise) osservando che la disposizione in oggetto riguardava fattispecie derogatorie ben individuate nella quale non rientrava l'ipotesi prospettata. Rinviava comunque la questione al Consiglio nazionale dell ordine dei giornalisti. Tale organismo condivideva la non applicabilità dell'art. 28 L. 69/63 ai «giornali telematici» ma anziché limitarsi a esprimere il parere negativo aggiunge che tali «giornali» sarebbero soggetti all'obbligo di registrazione e di direzione da parte di un giornalista iscritto all'albo. Il Ministero di Grazia e Giustizia, nella sua «nota» citata dal Tribunale di Roma si guarda bene dal fare proprie tali conclusioni bensì si limita a esprimere che «a giudizio di questo Ufficio le argomentazioni addotte risultano pienamente conformi al dettato legislativo» e che « pertanto, in presenza delle vigenti disposizioni ordinamentali non sembra legittimo estendere il disposto di cui all'art. 28 alle fattispecie richieste». Come si vede il Tribunale di Roma mette in bocca al Ministero di Grazia e Giustizia considerazioni che invece sono fatte dall'Ordine dei Giornalisti il cui interesse - di parte - nel riservare ai propri iscritti la direzione dei «giornali telematici» è fin troppo evidente e comunque privo di qualsiasi fondamento e peso giuridico. Come si vede il Tribunale di Roma mette in bocca al Ministero di Grazia e Giustizia considerazioni che invece sono fatte dall'Ordine dei Giornalisti il cui interesse - di parte - nel riservare ai propri iscritti la direzione dei «giornali telematici» è fin troppo evidente e comunque privo di qualsiasi fondamento e peso giuridico. Né maggior ausilio può venire dal far ricorso all'autorità della Suprema Corte di Cassazione: la citata decisione del Tribunale di Roma infatti aggiunge che: «la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che nel concetto di periodico va ricompresa ogni pubblicazione programmaticamente periodica quale ne sia il contenuto informativo e ne sia stata o no prestabilita la conclusione del piano di pubblicazione. Né a fondare l'esclusione della tipologia può valere il fatto che il messaggio di cui è portatrice sia trasmesso in tutto o in parte con mezzi diversi dalla stampa tradizionale». Data e numero della decisione non vengono indicati, ma ritrovatala attraverso i sistemi informatici, se ne comprende il perché: si tratta di una sentenza avente ad oggetto l'applicazione della disciplina del commercio - una delle più limacciose del nostro ordinamento - alla vendita in edicola di gadgets vari (cassette audio e video, giochi ecc.) allegati a «pubblicazioni periodiche». Ora non si intende entrare nel merito di tale decisione: in ogni caso è assolutamente escluso che da essa possa inferirsi - e men che meno fondare - alcun sostegno alla tesi dell'equiparazione delle trasmissioni telematiche - che certo non finiscono in edicola! - alla stampa e della conseguente necessità di loro registrazione. Ci si potrebbe peraltro chiedere se l'editore di una «pubblicazione» telematica possa chiedere la registrazione e i competenti uffici siano abilitati a disporla. Nel decreto del Tribunale di Roma si esprime questo avviso. Ma anche qui sorgono dei dubbi: in primo luogo qual è la fonte che autorizza la pubblica amministrazione a includere in un registro elementi che non è previsto vi rientrino? Potrebbe, in ipotesi, il responsabile del registro delle persone giuridiche senza scopo di lucro, iscrivere in esso anche delle associazioni non riconosciute? In secondo luogo, e più pregnantemente, viene da domandarsi a che mai serva siffatta registrazione, posto che il soggetto non può essere costretto ad aggiornare la sua registrazione, segnalando le eventuali modifiche intervenute in quanto non può essere ritenuto destinatario degli artt. 18 e 19 della L. 47/1948. Vi è solo l'auto-tutela rappresentata dalla cancellazione, il che evidenzia l'inutilità dell'originaria registrazione. Ma si ammetta per ipotesi che il soggetto chieda la registrazione, l'ottenga e volontariamente si adegui a tutte le prescrizioni di legge, quali conseguenze? Dal punto di vista penale - come si dirà oltre - nessuna, stante il principio di tassatività della legge criminale e dunque la irrilevanza della nomina di un «direttore responsabile» cui non potrà applicarsi l'art. 57 c.p. sull omesso controllo. Ma anche ai fini della pubblicità-notizia la registrazione appare inutile in quanto sarebbe meramente duplicativa di indicazioni desumibili, perché conferite in base ad un preciso obbligo di legge, da altri pubblici registri quali quello delle imprese. E stante la obbligatorietà degli aggiornamenti, gli elementi contenuti nel registro della stampa non costituirebbero neanche una presunzione - se non in danno del registrato - sull'identità dei soggetti tenuti ad obbligazioni risarcitorie aquiliane. Resterebbe soltanto un beneficio di tipo privativo in quanto la registrazione consentirebbe di provare con data certa la vantata priorità nella diffusione di una «testata» telematica. Ma poiché la registrazione non è obbligatoria, tale priorità potrebbe essere smentita con risultanze di fatto, assai comuni nella disciplina dei marchi. E in ogni caso vi sono strumenti assai più pratici e probanti per dimostrare la data d'inizio di utilizzo di una testata: basti pensare alle procedure per il rilascio dei domain names su Internet. 6. La rilevanza della disciplina penale della stampaQuanto s'è detto con riguardo alla disciplina amministrativa vale a mille doppi per il vasto apparato sanzionatorio che colpisce i «reati di stampa» e quelli «a mezzo stampa».Poiché essi prevedono come elemento oggettivo caratterizzante la fattispecie - ordinaria o aggravata - la «stampa» e poiché di quest'ultima l'art. 1 L. 47/1948 fornisce una definizione che si è visto essere incompatibile con la nozione di comunicazione telematica, il principio di legalità (in senso stretto) ed il conseguente divieto di estensione analogica in malam partem impedisce che tali disposizioni possano applicarsi ad eventuali comportamenti commessi attraverso le reti telematiche. Ciò vale in primo luogo per tutte le norme di tutela dell'azione amministrativa contenute nella L. 47/1948 a partire da quella (art. 16) sulla «stampa» clandestina. Con il che viene minata alla radice il preteso obbligo di registrazione dei «giornali telematici». Ma anche l'art. 13 sulle pene per la diffamazione, l'art. 14 sulle pubblicazioni destinate all'infanzia e l'art. 15 sulle pubblicazione «a contenuto impressionante o raccapricciante» restano ristretti nella loro portata. Al di fuori della legge sulla stampa, discorso analogo vale per gli artt. 57, 57-bis, 58, 58-bis, 595, III comma c.p. i quali tutti richiedono la presenza della «stampa». Si potrebbe pensare di recuperare parte della normativa speciale utilizzando l'art. 30 della L. 223/90 la quale sanziona numerosi comportamenti commessi attraverso «trasmissioni radiofoniche o televisive» richiamando espressamente svariate norme della L. 47/1948. Se, infatti, i sistemi di comunicazione telematica consentono di trasmettere anche emissioni radiofoniche o televisve solitamente diffuse attraverso l'etere essi sarebbero soggetti alla medesima disciplina. La questione richiede , per una corretta impostazione, che si definisca in limine la nozione di radiodiffusione. La risposta, peraltro, interessa ambiti ben più ampi di quelli meramente penalistici, giacché da essa dipende in sostanza l'applicazione dell'ampia normativa radiotelevisiva. La L. 223/90 non fornisce tale definizione la quale, pertanto, deve desumersi dalla normativa sovranazionale parzialmente recepita attraverso tale legge, ed in particolare la Direttiva 3 ottobre 1989, n.552/89 sull'esercizio delle attività televisive e la Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera approvata dal Consiglio d'Europa e ratificata dall'Italia con la L. 5 ottobre 1991, n. 327. La prima, all'art. 1, dispone che: «Per "trasmissione televisiva" si intende la trasmissione, via cavo o via etere nonché la trasmissione via satellite, in forma non codificata o codificata, di programmi televisivi destinati al pubblico. Il termine suddetto comprende la comunicazione di programmi effettuata tra le imprese ai fini della ritrasmissione al pubblico. La suddetta nozione non comprende invece i servizi di comunicazione che forniscono informazioni specifiche o altri messaggi su richiesta individuale, come la telecopiatura, le banche elettroniche di dati e servizi analoghi». La seconda, all'art. 2, offre una definizione più sintetica: «Per "trasmissione" s'intende l'emissione primaria, via emittente terrestre, via cavo o con ogni tipo di satellite, in forma non codificata o codificata, di programmi televisivi destinati al pubblico in generale. Il termine suddetto non comprende i servizi di comunicazione che operano su richiesta individuale». Tali definizioni peraltro presentano margini di ambiguità in quanto non è del tutto chiaro cosa si intenda per «messaggi su richiesta individuale» (Direttiva) e per «servizi di comunicazione che operano su richiesta individuale» (Convenzione). Ambiguità che non sono state, peraltro, risolte dalla recente novellazione alla Direttiva 552/89 operata dalla Direttiva 36/97. Allo stato, e assumendo come stella polare il già citato principio di stretta legalità, si può ritenere che siano assoggettabili al regime della L. 223/90 solo quelle trasmissioni radiofoniche o televisive che vengono diffuse attraverso una rete telematica con modalità analoghe a quelle della diffusione via etere e cioè con una programmazione continua determinata dall'emittente e non alterabile dal ricevente nel suo contenuto e nella sua disposizione cronologica. Ma non appena i programmi siano collocati su una base di dati che consente all'utente di scegliere nel tempo e nel contenuto quelli che desidera ricevere ci troveremmo al di fuori dell'ambito della legge. 7. La rilevanza della disciplina civilistica della stampaIl diritto civile non soggiace alle restrizioni del diritto penale ed in esso abitualmente si ricorre allo strumento dell'analogia per adattare il sistema alle nuove realtà. Quali le conseguenze sulle comunicazioni telematiche?In primo luogo deve escludersi che siano applicabili gli artt. 11 e 12 L. 47/1948 che riguardano la responsabilità civile dell'editore e la riparazione pecuniaria a carico dei diffamatori in quanto entrambe le disposizioni hanno come presupposto l'accertamento di un reato «commesso col mezzo della stampa». Dunque, per quanto i giudici civili amino ampliare la portata dei loro «accertamenti incidentali del reato», l'illecito attraverso una comunicazione telematica non potrà integrare la fattispecie. Diverso l'atteggiamento verso disposizioni integralmente extrapenali quali ad esempio gli artt. 100 e 102 l. d'a. ovviamente le fattispecie ipotizzabili sono innumerevoli. A sconsigliarne l'analitico esame varrà la considerazione che nel campo del diritto civile trova applicazione più che la nozione dettata dall'art. 1 L. 47/ 1948, un concetto di «stampa» che si collega ad un requisito di forma e dunque allo «scritto». Con il che si entra in una problematica di grandissimo interesse e rilievo ma che, ovviamente, nulla ha a che vedere con la questione che ci si è posti all'inizio di questo scritto. 8. I sistemi di comunicazione mistiL'integrazione tecnologica fa sì che in non pochi casi possa sorgere il dubbio se la disciplina della stampa non debba trasmigrare ad altri mezzi che si limitano a riprodurla. Si è già visto il caso di programmi radiofonici e televisivi trasmessi su una rete telematica; ad essi si aggiungono quelli di quotidiani, periodici o agenzie di stampa i cui contenuti vengono resi fruibili attraverso la stessa rete.Sorge spontaneo, dunque, un interrogativo: perché un articolo pubblicato su un giornale dovrebbe essere, in ipotesi, sanzionato in un certo modo mentre se diffuso in tutto il globo per via telematica dovrebbe esserlo in modo diverso? La aporia evidenziata richiede una risposta articolata sia sul piano del diritto positivo che de iure condendo. In primo luogo va fatto rilevare che se un organo di stampa diffonde e rende accessibili al pubblico i propri materiali per via telematica non si pongono questioni amministrative in quanto i relativi adempimenti sono già soddisfatti per la edizione a stampa alla quale semplicemente si aggiunge una diversa forma di diffusione. In secondo luogo ci si può chiedere se il direttore responsabile della pubblicazione a stampa lo sia anche della edizione telematica. La risposta sembra dover partire dalla figura del direttore responsabile la quale, storicamente, nasce per soddisfare una esigenza tutta penalistica che in termini attuali si definirebbe di «delega di funzioni» ovvero della individuazione all'interno di una struttura di una persona fisica penalmente responsabile per gli illeciti commessi dalla (e all'interno della) struttura in virtù delle funzioni di controllo esercitate. Le conseguenze della diffusione telematica appaiono, nella pratica, scarsamente influenti nella contestualità della diffusione a stampa. Si divaricano invece quando vi è una sfasatura temporale - che esclude l'esercizio del diritto di querela o addirittura comporra la prescrizione penale e civile - fra diffusione a stampa e diffusione telematica. Si immagini infatti che venga diffuso un testo di vent'anni fa, ormai sottratto ad azioni penali e civili. Ne risponderà l'editore della ri-pubblicazione. Ma lo stesso non può dirsi per il direttore responsabile: non si potrà coinvolgere quello dell'epoca, del tutto estraneo alla nuova diffusione. Ma dubbi sorgono anche con riguardo alla posizione del direttore responsabile del momento della diffusione telematica la cui funzione di controllo va esercitata - anche a norma di contratto - sull'attività corrente, e non sugli archivi della testata. E lo stesso discorso dovrebbe valere nell'ipotesi in cui nel volgere di un breve spazio di tempo si avvicendino più direttori responsabili i quali ovviamente potranno essere chiamati a rispondere, penalmente, ma anche civilmente, solo per quanto pubblicato sotto la loro gerenza. Il che rafforza il giudizio negativo sull'applicabilità ai «giornali telematici» dell'art. 3 L. 47/1948 e di tutti i suoi corollari. È evidente che alla luce del principio di razionalità e di efficienza delle norme giuridiche la discrasia fa sorgere non poche perplessità. Ma esse sono destinate a rimanere sul piano del dibattito in maniera non dissimile di quanto avveniva in riferimento alla differenza di disciplina fra diffamazione a mezzo stampa e diffamazione televisiva, risolta solo con l'intervento del citato art. 30 L. 223/90. Il che, ancora una volta, rinvia non a sperimentazioni ermeneutiche ma a precisi e coordinati interventi legislativi adeguatori del sistema amministrativo e penale alle nuove realtà. 9. ConclusioniI tentativi di estendere alle comunicazioni telematiche la vigente normativa sulla stampa costituiscono maldestre operazioni di disciplina giuridica di realtà assai diverse e ben più complesse. Un sistema può ben vivere con delle lacune e l'horror vacui nasconde spesso solo una radicata vocazione dirigistica degli apparati statali cui nulla deve e può sfuggire.Le perplessità aumentano ove si consideri la struttura internazionale delle comunicazioni telematiche la quale non fa che ingigantire il provincialismo delle soluzioni «locali». Vi sono sicuramente questioni di grande importanza che meritano di essere disciplinate e vivace è la discussione nelle sedi più appropriate con proposte che in tutti i paesi industrializzati sono oggetto di esame, nella consapevolezza dell'esigenza di risposte coordinate a livello mondiale. Motivo di più per suggerire, anche alle cancellerie di taluni Tribunali, maggiore cautela e minore, vacuo, attivismo. VINCENZO ZENO-ZENCOVICH
(*) NOTE: il saggio del prof. Vincenzo Zeno-Zencovich viene riprodotto per gentile concessione della Rivista "Il diritto dell'informazione e dell'informatica" cui ci si può rivolgere (tel. 06/6865535, Email calamandrei@alfanet.it) per ulteriori informazioni Nota editoriale: Questo documento non usufruisce della Licenza Pubblica Beta, e pertanto qualsiasi sua copia, distribuzione o riproduzione deve ritenersi vietata e verrà perseguita secondo le vigenti leggi in materia di copyright e diritti d'autore.
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